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Televisioni e pubblicità: un’infinità di stereotipi di genere!

Televisioni e pubblicità

n Italia, ma possiamo dire nel mondo intero, purtroppo, la parità di genere non esiste.

Le disuguaglianze tra uomini e donne in ambito lavorativo, economico, sociale e culturale sono dure a morire.

Ma da dove ha origine e come si riproduce questa disparità?

Semplice: attraverso stereotipi di genere i media e la società in generale deviano il comportamento delle persone e lo plasmano sin da giovanissimi.

Per cominciare diamo una definizione allo stereotipo: opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, su persone o gruppi, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone, avvenimenti o situazioni ed è frutto di un antecedente processo di ipergeneralizzazione e ipersemplificazione, ovvero risultato di una falsa operazione deduttiva.

In pratica un luogo comune che viene applicato in modo acritico e automatico. Eppure, ogni individuo è unico e non può essere ridotto ad un insieme di caratteristiche stereotipate!

Mi rendo conto che ad un occhio poco attento gli stereotipi possano sembrare delle banalità ma così non è. Per capire cosa c’è dietro uno stereotipo occorre avere la voglia di informarsi e formarsi.

Le generalizzazioni possono riguardare qualsiasi aspetto della vita come la razza, l’età, l’orientamento sessuale, la religione, le fattezze fisiche, la professione, ecc.

Chiaramente tali pregiudizi possono essere positivi o negativi, ma in entrambi i casi sono semplificazioni eccessive della realtà che non tengono conto della diversità individuale all’interno di un gruppo.

Quotidianamente siamo tempestati da programmi televisivi e pubblicità che arrivano direttamente sui nostri dispositivi e che trasmettono messaggi che possono potenziare intensamente la discriminazione tra uomini e donne.

Si tratta, in particolare, di generalizzazioni eccessive e semplificate che attribuiscono a uomini e donne caratteristiche e comportamenti tipici in base al loro genere e questo accade soprattutto quando presentano uno dei due sessi come dominante.

Spesso il sesso maschile appare come più coraggioso, intelligente, sveglio, capace di esprimere idee, forte … “l’uomo che non deve chiedere mai“, ricordate?

Poi nella vita reale gli uomini a volte ci appaiono come soggetti deboli, fragili, incapaci di superare la fine di una relazione amorosa!

La donna, invece, viene descritta come bisognosa di protezione ed incapace di vivere una vita autonoma, debole, emotiva, premurosa, bella fisicamente ma dipendente dagli altri, passiva.

Pensare alle donne come abili nel lavoro domestico o nella cura dei bambini e agli uomini come responsabili del lavoro fuori casa porta spesso le donne ad avere meno opportunità di lavoro e a guadagnare meno degli uomini. Ecco perché da qualche tempo alcune imprese italiane e multinazionali organizzano corsi anti-stereotipi che aiutino a instaurare migliori relazioni tra colleghi e a migliorare i rapporti personali fuori dal posto di lavoro.

Le aziende che sostengono il lavoro femminile potrebbero, grazie a questo, avere un’immagine positiva, una reputazione eccellente.

E sappiamo bene che la reputazione per un’azienda è tutto.

La Legge 162/2021 ha introdotto importanti novità in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, ha introdotto la certificazione della parità di genere, che le aziende potranno ottenere avendo diritto a meccanismi premiali come lo sgravio sui contributi previdenziali a carico del datore di lavoro non oltre l’1% di quanto dovuto e massimo 50mila euro, e un punteggio per la concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento di investimenti sostenuti dalle imprese.

Nel 2019 una ricerca della società di consulenza Catalyst ha analizzato le performance finanziarie di 1.650 società in 20 paesi diversi e ha rilevato che le società con il maggior numero di donne in posizioni di leadership hanno ottenuto una redditività del 10,1% rispetto al 7,4% delle società con il minor numero di donne in posizioni di leadership. Inoltre, le società con il maggior numero di donne in posizioni di leadership hanno mostrato anche una maggiore efficienza operativa, una maggiore attenzione alla diversità e all’inclusione, nonché una maggiore capacità di attrarre e trattenere talenti. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le donne tendono ad avere un maggior interesse per le questioni legate alla diversità e all’inclusione e tendono a creare un ambiente di lavoro più collaborativo e inclusivo.

Il martellamento psicologico degli stereotipi inizia già dai cartoni animati che da un lato intrattengono i bambini, dall’altro, molto sottilmente, instillano contenuti fuorvianti.

Peraltro, distinguere totalmente uomo e donna secondo una logica binaria, quale quella che ci hanno sempre insegnato sin da piccoli, equivale a discriminare chi non si riconosce esattamente in quel sesso.

Nella maggioranza delle persone il sesso biologico e l’identità di genere coincidono, in altre no.

Le persone transessuali sentono di appartenere al genere diverso a quello a cui le assegnerebbero le loro caratteristiche fisiche fino ad intraprendere un doloroso percorso di riattribuzione del sesso biologico a valle di una decisione giurisdizionale del competente Tribunale una volta accertata la c.d. disforia di genere.

Pure la cronaca si concentra sull’orientamento sessuale del soggetto, soprattutto nei crimini contro le persone.

Occorre contrastare gli stereotipi e i pregiudizi che colpiscono le donne finendo col porre loro, le vittime, sotto la lente del pubblico giudizio e non l’uomo maltrattante, violento.

E questo anche quando si arriva all’assassinio.

Molte aziende pubblicitarie hanno deciso di affrontar questo tema e ciò comporta numerosi vantaggi in termini di sensibilizzazione ed educazione alla diversità di genere in uno al superamento di gabbie sovrastrutturali derivanti da una società eteronormativa per definizione.

Nel corso degli anni le forme di sessimo in tv hanno cambiato forma e sono diventate più sottili ma ugualmente dannose per la visibilità delle donne nella sfera pubblica. La comunicazione aveva in passato un ruolo essenziale, basta ricordare quanta gente ha imparato l’italiano grazie ai programmi della Rai, mentre oggi punta ad agire sui comportamenti delle gente.

C’è quindi una forte correlazione tra le azioni quotidiane e la pubblicità sessista.

La crescente diffusione di modelli femminili oggettivati in moltissimi programmi della TV italiana è direttamente proporzionale agli episodi di molestia sessuale e di violenza contro le donne.

Tra gli adolescenti italiani è ancora oggi presente una forte stereotipia di genere, e con essa la convinzione dell’esistenza di ruoli di genere che prevedono il primato dell’uomo nelle posizioni apicali e quello della donna negli oneri di cura e assistenza familiare. Ma tale differenziazione, soprattutto nei giovanissimi assume maggiore rilevanza nelle relazioni affettive.

Ecco perché oggi, da più parti, e alla luce dei recenti fatti di cronaca, si invoca l’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole come materia obbligatoria. Il fine sarebbe quello di educare al rispetto delle differenze e a far comprendere che non ci devono esserci prevalenze di un sesso sull’altro.

Il problema è che nonostante i mass media diffondano un’immagine sessualmente evoluta delle giovani generazioni, al contrario, i dubbi sessuali tipici dell’adolescenza sono diffusi in tutte le classi sociali. Superare imbarazzi e pudori che coesistono tra insegnanti e studenti non è semplice.

I ragazzi cercano di ottenere informazioni sulla sessualità dalle fonti più disparate, compreso il porno, assolutamente deleterio per l’educazione delle giovani generazioni che pensano di dover riprodurre ciò che vedono, non comprendendo che quella non è la realtà, che si tratta di attori che hanno prestato previamente il consenso per certe attività.

Ecco perché la donna viene vista con un oggetto da utilizzare e sottomettere a piacimento.

Peraltro, il livello culturale, discutibile, dei canali che continuano a proporre veline non contribuisce alla crescita personale.

Ricordo che anni fa c’era una donna che per tutto il tempo della trasmissione rimaneva accucciata sotto un tavolo. Che significato può avere una visione così degradante? Mi sembra tutto molto mortificante per le donne.

Sempre anni fa, una nota catena di negozi, proponeva “modelle” in vetrina. Sinceramente non comprendo il senso di quelle scelte.

E’ chiaro, però, che se i modelli culturali sono gli influencer, le veline ed i tronisti, nel circuito educativo sociale qualcosa è andato storto.

L’onnipresenza degli stereotipi in tutti gli ambiti della vita la riscontriamo pure all’interno delle famiglie.

In realtà parte tutto dalle famiglie.

Nei giorni scorsi una docente siciliana ha chiaramente detto, in un post pubblicato sui social, che i genitori di oggi hanno fallito. Io condivido tale pensiero, anche se ovviamente non può essere generalizzato.

I genitori hanno l’obbligo di vigilare sui loro figli e, a costo di litigarci, hanno il dovere di controllare le loro attività. Soprattutto, a mio parere, hanno l’obbligo di dare il buon esempio.

Ma il discorso prosegue ad ampio raggio.

A breve inizierà il campionato di calcio e con esso numerose trasmissioni televisive. Ecco, anche in campo sportivo, soprattutto nelle piccole reti televisive, sarà facile trovare un giornalista, con posizione di rilievo contornato da una donna, con rilevanza marginale abbigliata in modo poco consono per partecipare ad una trasmissione.

Il paradosso è che nonostante in molte trasmissioni televisive si parli con cadenza quasi quotidiana di stereotipi, nell’applicazione pratica il necessario cambio culturale sembra ancora molto lontano e finché nel nostro Paese si continueranno a proporre i modelli di identificazione di genere attuali, cioè la donna che capisce poco ed è solo bella, e comunque meglio che stia a casa con funzione accuditiva e l’uomo, comunque soggetto superiore, che deve far fronte a tutte le esigenze primarie della famiglia e che dev’essere quello più votato al successo e alla carriera, finché questo è il tipo di modello culturale proposto non si avrà mai parità.

E’ del luglio scorso la notizia che due telecronisti RAI siano stati sospesi per commenti sessisti e razzisti, che non riporto perché deplorevoli. Innumerevoli sono state le polemiche e i commenti indignati da parte del pubblico. E questo è un dato positivo.

Occorre rendersi conto che quelle battute da bar da parte dell’uomo della strada sono inaccettabili, nel 2023, anche al bar figuriamoci in diretta TV!

E questo è successo durante i Campionati Mondiali di Nuoto 2023 su una rete nazionale.

Nel 2023 vediamo ancora poche esperte donne nei vari talk show, come se la professionalità fosse solo maschile, quando invece, la presenza di donne capaci, non in quanto donne, ma in quanto capaci, potrebbe portare solo benefici.

Ad esempio una maggiore attenzione alle questioni di genere con un linguaggio più inclusivo. Invece quando si tratta di intervistare una persona competente in materia di un argomento sviluppato in qualche notizia, preferibilmente si scelgono uomini. E questo accade anche quando il tema è prettamente femminile, come l’aborto ad esempio.

Uomini che discutono bellamente di qualcosa che non hanno mai vissuto e non vivranno mai.

Ritengo che questo si verifichi perché ancora oggi nei posti apicali, ai vertici di un determinato settore troviamo gli uomini ed è a quelli, ai vertici, che si rivolgono e poi per una questione di abitudine, visto che in passato c’erano poche donne esperte in qualche settore.

Tornando al discorso delle donne poco vestite nelle trasmissioni mi preme dire che personalmente non sono contro l’utilizzo della propria fisicità, ognuno fa quello che crede e probabilmente mostra quello che pensa di avere di meglio. Purtroppo, però, è questo l’aspetto triste della vicenda, se si fanno vedere solo certe parti del corpo, tanto altro, evidentemente, non si pensa di averlo. E questo significa proporsi sempre e solo come degli oggetti!

E’ chiaro che occorre essere liberi di fare quello che ci pare ma occorre anche essere consapevoli che quella è comunque una forma di comunicazione.

In quel momento si sta dicendo chi si è e per cosa si vuol essere notate.

Attenzione, pertanto, ai messaggi che vengono proposti, soprattutto nei confronti delle generazioni più giovani, e soprattutto da parte di alcune categorie di soggetti estremamente esposti mediaticamente perché sono messaggi potentissimi e finché passeranno continueremo a contare i morti.

Chiaramente ciò non significa privare la donna della libertà di mettersi una minigonna. Il problema è che tipo di biglietto da visita si vuol mostrare perché è inevitabile che in qualche modo qualifica anche il tipo di messaggio che ricevono gli altri e, di conseguenza, si adeguano a quel tipo di immagine che si vuol dare di se.

Questa non è una critica alle donne, ma al sistema che propone quell’immagine.

In ogni caso mi piacerebbe vedere in tv più donne parlanti e meglio vestite.

Qualora poi un determinato tipo di abbigliamento dovesse essere imposto per lavorare, invece, occorrerebbe iniziare a denunciare la costrizione ed imporsi per un abbigliamento adeguato.

È necessario valorizzare l’immagine della donna, presentare modelli positivi di donne che hanno ruoli importanti.

Non dimentichiamo che abbiamo una Donna come Presidente del Consiglio e una Donna come Presidente della Corte Costituzionale e molte che svolgono professioni che, secondo gli stereotipi, sono attività prettamente maschili. Pertanto, l’immagine della donna di una volta che viene proposta in tv è assolutamente fuori luogo e solo poche persone del genere femminile si riconoscono in quello stereotipo. Usare gli stereotipi non è un modo di esprimere la realtà!

L’importanza della televisione è dovuta al fatto che veicola i messaggi con maggiore facilità perché utilizza immagini, filmati, musica, parole e testi scritti, mentre sugli altri canali ci sono solamente alcuni di questi elementi. Tuttavia gli stereotipi sono presenti ovunque.

Devo però ammettere che non tutta la responsabilità è della TV.

A monte il maschio violento, il maschio che non rispetta la donna, è un maschio che non ha ricevuto nessun tipo di educazione da parte dei genitori oppure ha assistito a determinati atteggiamenti proprio in famiglia.

Molto spesso i carnefici hanno avuto lo stesso identico modello che mettono in campo. Oppure hanno avuto madri che li hanno trattati come una specie di sultani, di creature meravigliose a cui non si poteva dire di no e li hanno iper accuditi, per certi versi.

Non è detto che abbiano alle spalle chissà che traumi infantili, a volte hanno avuto un’esposizione a modelli familiari violenti ma altre volte semplicemente hanno assistito ad un sistema familiare fortemente gerarchizzato e patriarcale quello dove la mamma era quella che cucinava, lavava, stirava, accudiva e non diceva mai di no a nulla, subiva in silenzio e aveva rinunciato anche a lavorare fuori casa e dove c’era un padre che aveva una posizione netta di potere all’interno di questo tipo di modello.

Il tema degli stereotipi è importante ed emerge prepotentemente tra gli adolescenti che iniziano ad avere un fidanzatino aggressivo, arrogante e violento che vuole decidere su che telefonate si possono fare quali amiche si possono frequentare e via dicendo.

A quell’età non si è in grado di riconoscere un elemento sbagliato sin da subito, consideriamo che già gli adulti faticano a riconoscere certi tipi di violenze.

Provate a chiedere ad una ragazzina che cosa fa se il fidanzatino le impedisce di uscire mentre lui va in giro tranquillamente con gli amici…

La ragazza risponderà, quasi sicuramente, che se lui si comporta in quel modo vuol dire che è innamorato.

Se lui pretende che io stia in casa vuol dire che tiene a me”.

Così mi è stato risposto da una mia piccola assistita.

Ecco. Allora questo è grave.

Questo tipo di mentalità da parte di ragazze di 15-16-17 anni anche più giovani a volte dimostra, evidentemente, che in casa hanno appreso quel tipo di modello.

Questo modo di ragionare non è minimamente corretto.

E’ evidente che se a 16 anni si è già pronte ad accettare una disparità di potere e di possibilità tra loro e il compagno a vent’anni succederà sicuramente che la maggior parte di quelle ragazze abbandonerà i propri sogni, le proprie aspirazioni di carriera perché qualcuno, prima o poi, di sesso maschile le dirà che tanto non serve a nulla e può essere il padre, il fratello o il fidanzato.

Molte sono così fragili e così poco fiduciose in se stesse da assecondare tali richieste e questa è la fine. Saranno donne infelici che prima o poi perderanno la pazienza, lasceranno il compagno ma intanto non avranno più la possibilità di realizzarsi per come avrebbero voluto.

Ecco allora che le madri hanno un compito importante per far sentire sicure le figlie su quello che possono diventare nella vita, anzi devono far emergere le loro inclinazioni e sostenerle, devono insegnarle a riconoscere il malamore, la relazione tossica.

Tuttavia è chiaro che bisogna che abbiano sperimentato in primis una relazione sana in casa altrimenti sarà molto difficile.

L’elemento cardine dev’essere il rispetto tra le persone, il dialogo, il confronto sano. Anche aspro ma sano.

Perché questo e’ il problema, ci sono persone che non accettano un dialogo paritetico che quindi la loro opinione, per definizione, dev’essere comunque quella migliore, quella giusta, quella più importante.

In una relazione con un soggetto che parte da questo presupposto non credo che si possa stare bene.

Ad ogni modo, anche i modelli che vediamo nella pubblicità sono, spesso, terrificanti. E non sono da sottovalutare perché invadono continuamente la nostra vita: li ritroviamo sul telefono, sui social, sui manifesti stradali ed influiscono direttamente sul modo in cui percepiamo la realtà e plasmano il nostro modo di pensare, di vivere e di agire.

Nel corso del tempo l’immagine femminile è passata dalla casalinga alla donna erotica e a quella sottomessa. Molto spesso, peraltro, si tratta di pubblicità che falsano la realtà o sono ingannevoli.

Ad esempio le pubblicità che rappresentano le donne quali uniche consumatrici di prodotti per la casa non tengono conto della realtà:molti uomini aiutano in casa le proprie compagne.

Ed ancora, le pubblicità delle creme anticellulite o antirughe sono affidate a delle ragazze giovanissime che non hanno ancora quel tipo di problema.

Alle donne si richiede di essere sempre in forma, magre, giovani ed attraenti ma la stessa richiesta non pare sia fatta agli uomini. E questo può portare ad insicurezze e a disturbi alimentari. Non c’è prodotto, per la casa o destinatario di un target maschile, che non abbia una figura di donna erotica o maliziosa.

Gli esempi sono tanti: dalla donna in biancheria intima chiamata a svolgere lavori di tinteggiatura a quella che con fare provocante invita a toglierle tutto tranne l’orologio.

Peraltro, come se non bastasse tutto quanto sopra detto, in questo tipo di pubblicità, la donna è frammentata, viene disumanizzata e rappresentata attraverso una sola parte del suo corpo, alla quale viene associata una frase o un’immagine a sfondo sessuale, con lo scopo di pubblicizzare il prodotto. Insomma, come se unitamente all’oggetto in vendita si acquistasse anche una parte del corpo femminile.

Imbarazzante e squallido a dir poco.

In ogni pubblicità pare che la donna sia lì ad adescare il povero uomo che non capisce nulla e si lascia abindolare e distrarre da parti del corpo femminile.

Beh, ritengo che chi studia queste pubblicità abbia davvero una scarsa considerazione degli uomini. Io invece sono convinta che gli uomini di valore, che credo siano la maggior parte, sia infastidita da tale presa in giro.

Comunque, oggettivare in questo modo il corpo femminile ha anche un effetto deleterio sull’autostima. Le donne, sin da giovanissime, si sentono tenute a dover raggiungere risultati irrealistici. Vediamo corpi considerati conformi dalla società e non ci sentiamo sicure di vivere liberamente i nostri con tutti i piccoli difetti che ci fanno distinguere dalla massa.

In realtà questo accade anche per gli uomini. Nelle pubblicità non si vedono certo uomini con la pancia, ovvio non sarebbe un belvedere, solo che i maschi, contrariamente alle femmine, non si creano alcun problema. In questo sarebbero da imitare.

Esiste poi l’immagine della donna sottomessa.

Qualche anno fa un importante marchio, famoso in tutto il mondo, pubblicizzava il suo brand con un’immagine raccapricciante: una donna seminuda immobilizzata a terra da un maschio alfa e circondata da altri uomini in atteggiamenti prevaricanti.

Inutile dire che è stata fortemente criticata e oltre ad essere di pessimo gusto, trasmette un messaggio pericoloso: l’uomo può prendere tutto ciò che vuole.

Una comunicazione violenta, indecente, volgare e ripugnante.

Abbiamo però uno strumento per segnalare le pubblicità offensive, ingannevoli, violente o volgari, si può accedere al sito dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria e compilare un apposito modulo. Tale ente è privato ed è composto dalle imprese e dalle agenzie che si occupano di pubblicità.

L’organizzazione ha un Giurì che ha il compito di verificare e giudicare le diverse campagne e ha il potere di farle ritirare. In particolare i messaggi ritenuti sessisti oppure offensivi sono la causa della cancellazione degli spot.

I controlli riguardano tutti i mezzi, inclusi i cartelloni pubblicitari, e per questo ci sono accordi con il Dipartimento delle Pari Opportunità e con i Comuni che prevedono la possibilità di intraprendere azioni comuni e più diffuse per il contrasto della diffusione di campagne discriminatorie.

Come detto, la pubblicità la troviamo anche sulle nostre strade, cartelloni pubblicitari giganti dove campeggiano donne seminude che in passato sono state anche causa di incidenti.

Tanto è vero che il “problema” del sessismo e della volgarità è stato affrontato anche nel codice della strada.

All’art. 23 del Codice della Strada si legge:

“ È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti ostereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.

Se vogliamo cambiare davvero cominciamo a cambiare i canoni dei modelli che proponiamo perché è da lì che passa il cambiamento. I messaggi dovrebbero rispettare la dignità della persona in tutte le forme ed espressioni ed evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere.

Sicuramente alcune aziende stanno lottando contro gli stereotipi di genere ma come sappiamo la strada è ancora lunga.

Ancora oggi la cultura patriarcale è imperante e lo si riscontra nei numerosi fatti di cronaca.

Si cerca, spesso, di trovare ragioni “biologiche” all’aggressività degli uomini verso le donne, argomenti di solito riconducibili al testosterone, che si vorrebbe far passare come fattore di maggiore propensione all’aggressività maschile rispetto a quella femminile.

In realtà questa credenza si è rivelata un mito. Non solo non vi sono evidenze di una sua reale e stretta correlazione con una maggiore aggressività degli uomini, ma se anche così fosse non si capisce perché tale aggressività debba essere rivolta verso le donne.I tg ci raccontano ancora oggi di padri che avanzano pretese di decidere della vita delle figlie almeno fino a quando non le cedono ad un altro uomo: il marito..

Dapprima la sorveglianza è svolta dai fratelli come ad esempio nel terribile caso di Maria Paola Gaglione, uccisa, secondo l’accusa, dal fratello che “voleva darle una lezione”, “rimetterla in riga”, perché la sua relazione con un trans era per la famiglia inaccettabile.

Capita inoltre che a un uomo si dia facilmente del “dottore” quando magari non è nemmeno laureato e a una donna professionista ci si rivolga con “signora”. Questo accade pure alle vittime di reati violenti. L’ uomo con il suo titolo di studio nonché con il cognome e alla donna solo con il nome, come a ridimensionare il suo status di persona adulta e autonoma.

I pregiudizi che soggiacciono alla rappresentazione sociale della violenza di genere si annidano nella narrazione giornalistica e in quella giuridica. Le modalità con le quali si tratta la violenza di genere incidono sulla nostra percezione in materia.

Un linguaggio sbagliato ha il potere di sminuire la violenza, rischiando di attenuare così anche la capacità di individuazione del problema da parte delle donne che la vivono. La colpevolizzazione delle vittime, oramai all’ordine del giorno, possiamo leggerla pure sui giornali.

Quando si parla delle ragazze si sottolinea che fossero ubriache, quando si parla del carnefice lo si definisce “un gigante buono”, un “buon padre di famiglia” e così via.

Si adottano due pesi e due misure. Se la vittima è ubriaca “se l’è cercata” mentre se il carnefice è ubriaco”poverino era sotto l’effetto dell’alcool e non capiva quello che faceva” quindi va perdonato e compreso. Tutto ciò è inaccettabile. Ed è inaccettabile soprattutto se tale errata rappresentazione avviene da parte di giornalisti che dovrebbero limitarsi a raccontare i fatti senza giudizi e pregiudizi e ad indicare dove, come e a chi le vittime si dovrebbero rivolgere.

Oggi invece il racconto che se ne fa normalizza o mitiga la violenza maschile contro le donne all’interno di una relazione non definisce il responsabile come tale, non definisce la vittima come tale, non chiarisce che certe condotte sono inaccettabili e che sono reati gravi. Ci si interessa a come vestiva la vittima, a quante relazioni ha avuto, se è stata fedele, cose che nulla centrano con i reati contestati all’imputato.

L’informazione, dunque, non è corretta. Anzi possiamo dire sia fuorviante soprattutto quando si fa riferimento ai raptus, che nella pratica non si verificano quasi mai e ad amori malati (ma quello schifo in realtà non è amore!).

Questi racconti gettano sospetti sulle vittime e favoriscono i colpevoli non solo sulla stampa ma anche nelle aule giudiziarie si espongono le donne a vittimizzazione secondaria e terziaria. La vittimizzazione terziaria definisce la frustrazione provata dalla vittima di qualsiasi reato di fronte al mancato ottenimento della giustizia, alla mancata condanna del colpevole, o all’eventuale mancato risarcimento economico.

La mia riflessione conclusiva è che le Donne, molte volte, sono ancora oggi delle vittime. Anche se rispetto al passato sono più forti e reagiscono.

L’auspicio che una società civile possa farsi è quello di liberarci finalmente persino del fenomeno del“soffitto di cristallo”, che oggi resiste come una grande conquista delle donne. L’inferiorità di genere è un’idea antica, una storia che comincia in Grecia con il mito di Pandora e arriva fino a noi.

Dobbiamo essere consapevoli del passato, senza farci travolgere troppo dalle suggestioni mitologiche e dalle convenzioni sociali, e lanciare, invece, uno sguardo che ci illumini verso un futuro migliore in cui tutti possano“essere” e sentirsi finalmente liberi.

Affinché ciò accada occorre che a valle ci sia una rivoluzione culturale che si deve avviare sin dalla prima infanzia all’interno della famiglia e delle istituzioni scolastiche, attraverso la lotta al bullismo alle stereotipie di genere e alla logica binaria che impone determinati ruoli alle Donne e agli Uomini e mi auguro che in futuro non ci sia più bisogno di parlare di parità di genere.

Avv. Maria Furfaro