Un caso che risale al maggio 2002 mi è rimasto impresso: una madre 31enne uccide la figlioletta di 8 mesi mettendola nella lavatrice nella sua casa in Valtellina.
La donna ha aperto lo sportello dell’elettrodomestico e ha sistemato il corpo della piccola nel cestello dopodiché ha avviato il lavaggio. A fare la tragica scoperta è stato il padre della bambina.
Questo caso non potrò mai dimenticarlo.
Infatti, tra i delitti in famiglia, il più impressionante è senz’altro l’infanticidio perpetrato dalle madri ai danni dei propri figli.
Successivamente a questo caso la cronaca ne ha evidenziati molti altri: tra tutti, particolare rilevanza mediatica ebbe il caso di Cogne. Ricorderete i plastici, le interviste e i pianti dell’accusata, le dichiarazioni degli opinionisti dei salotti televisivi che si dividevano tra innocentisti e colpevolisti. I secondi sono sempre in maggioranza, per la verità. In qualsiasi caso…
Da lì in poi è cambiato tutto. Da quella vicenda, dove la madre è stata, in seguito, condannata con sentenza definitiva, i processi mediatici hanno avuto un notevole balzo in avanti.
Ma, come osservavo, i casi che hanno come vittime i bambini sono tanti e diversissimi tra loro. Alcuni sono neonaticidi (se il delitto avviene entro 24 ore dalla nascita), altri sono infanticidi (se l’uccisione si realizza immediatamente dopo il parto o entro un arco di tempo che va da 6 mesi a un anno), altri ancora sono figlicidi (se accade al di là del primo anno di vita ma comunque entro la minore età).
Il fenomeno è trasversale. Può accadere in qualsiasi luogo, nord o sud, a qualsiasi età e livello culturale. A volte, non sempre, dopo aver ucciso, le madri si suicidano a loro volta.
Alcune uccidono per “altruismo”, credono di “salvare” il figlio da un futuro di dolore (spesso immaginario) e solitudine. Altre volte uccidono per vendicarsi del partner o perché frutto di relazione clandestina. Altre ancora perché la nascita del figlio interromperebbe la carriera e perché sarebbe difficile affrontare le difficoltà pratiche ed economiche che la nascita di un bimbo comporterebbe.
Questi sono solo alcuni esempi.
Vi è la sindrome di Medea, che, che per vendetta, aveva sacrificato i suoi figli per punire l’uomo che l’aveva abbandonata…
Ma un figlio si può uccidere anche non prendendosene cura: affamandolo o esponendolo al freddo.
Può capitare che il semplice pianto diventi un fattore stressogeno insostenibile.
Per la legge e la psichiatria non tutti gli infanticidi sono derivati da infermità mentale. Paradossalmente, una donna con un disturbo cronico potrebbe gestire perfettamente la propria maternità mentre una donna sana di mente potrebbe andare in “cortocircuito”, vivere una depressione post-partum e non essere responsabile della condotta omicidiaria.
Chi uccide un figlio a causa di un disturbo psichico “non è pazza” ma soffre di incapacità di intendere e volere al momento del fatto. Ovviamente, ciò è molto importante ai fini dell’imputabità o meno in ambito penale.
Ma come uccidono queste madri?
Con modalità immediate come l’annegamento o il soffocamento, ancora, la defenestrazione; ma non solo…
In alcuni casi, ancora in stato confusionale, confessano il reato o tentano il suicidio. In altri, probabilmente per non perdere il sostegno della famiglia, negheranno per sempre. Come in molti casi s’è potuto constatare.
Qualcuna, in passato, ha avuto ricoveri per tentati suicidi, altre hanno sofferto di malesseri generali mai approfonditi.
Gestire la nuova vita da mamma non è per nulla semplice. L’equilibrio fisico e psichico viene, infatti, stravolto e non sempre queste donne hanno un uomo accanto. Oppure, l’uomo c’è ma non riesce a comprendere sino in fondo la grave situazione che la donna vive.
In effetti, che siano neonati meno, quando una madre ammazza il proprio figlio non lo fa quasi mai per un’esplosione di violenza improvvisa e incontrollata ma c’è sempre qualche malessere che precede il momento più tragico e che alberga a lungo nella mente della donna. Magari, chi le sta vicino, sottovaluta il fenomeno oppure non si accorge di nulla.
Personalmente, ritengo, col massimo rispetto per tutte le vittime di questi fatti atroci, che in qualche occasione sarebbe stato possibile evitare il tragico finale.
Come?
Ad esempio, rimanendo vicini a queste madri, non lasciando sole quelle visibilmente fragili. Essere consapevoli ed accettare il fatto che esista un problema e che, se si interviene per tempo, si può curare.
Di questo e molto altro parleremo il 15 dicembre in un seminario online dal titolo “Madri che uccidono: cattive o malate?
Dalla psicopatologia materna al figlicidio”, organizzato da
Studio legale Furfaro,
Società Internazionale di Criminologia e Scienze Forensi,
Istituto Internazionale di Scienze Criminologiche e Psicopatologico-forensi,
Professional Speakers,
Società Marcè Italiana per la Salute Mentale Perinatale.
I relatori saranno eccellenti: il Prof. Vincenzo Mastronardi, la Dott.ssa Viviana Lamarra, la Dott.ssa Alessandra Bramante e la Dott.ssa Fuani Marino che ci parlerà della sua esperienza diretta.
Il tema è di scottante attualità e verrà trattato con rispetto e professionalità.
Saranno proposti casi di madri che uccidono i figli ripetutamente, nonché le differenze psicologiche tra feticidio, neonaticidio e infanticidio. Si parlerà della Sindrome del bambino maltrattato, perché molto spesso l’atto omicida consegue all’abuso fisico; pertanto, saranno esaminati anche alcuni studi mondiali sugli abusi sessuali durante l’infanzia, con le relative conseguenze psichiatriche.
Ma ci sarà molto altro…
Per gli Avvocati abbiamo richiesto i crediti formativi al CNF
Per informazioni ed iscrizioni: infosicsf@gmail.com
https://screpmagazine.com/madre-uccide-la-figlia-di-8-mesi-in-lavatrice-di-maria-furfaro/