E’ sufficiente QUALSIASI forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario né l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali.
Non ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca, quando è provato che l’autore, per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei confronti della vittima, abbia la consapevolezza del rifiuto implicito ai congiungimenti carnali (era stato così ritenuto sussistente il reato per avere l’imputato, legato da una relazione sentimentale con la vittima, fatto uso di violenza fisica più volte in precedenza e anche nei momenti immediatamente antecedenti il rapporto sessuale, rendendo, di conseguenza, irrilevante l’atteggiamento passivo di non opposizione della donna al momento del congiungimento carnale).
La difesa dell’imputato sottolineava “la non credibilità e la contraddittorietà delle dichiarazioni della parte offesa”.
Inoltre, nel suo ricorso, faceva riferimento ad un interesse economico della donna ed al rancore che la stessa provava per il marito.
La Cassazione, tuttavia, ha respinto il ricorso ed evidenziato un fatto importante:
l’uomo ha impugnato la sola parte del provvedimento di merito riguardante il reato di violenza personale, nulla quaestio sugli altri fatti di reato che gli sono stati iscritti. Ovvero maltrattamenti in famiglia, danneggiamento e lesioni personali.
Già questo, spiega la Cassazione, fa assumere credibilità alle dichiarazioni di parte civile.